Il mio intervento all’Assemblea pubblica di oggi: “Far ripartire la Campania”

Abbiamo ritenuto utile avere questo momento di confronto con i lavoratori, le organizzazioni sindacali, i rappresentanti del mondo dell’impresa, le nostre principali funzioni istituzionali e politiche perché siamo ancora nel pieno di una crisi che travolge interi settori dell’economia nazionale e campana, e soprattutto perché avvertiamo ancora troppo debole ed insufficiente l’iniziativa della principale istituzione regionale di fronte alla gravità della situazione.

Per questo intendiamo continuare il confronto nel merito delle iniziative secondo noi necessarie da assumere, e consideriamo l’appuntamento di stamattina una ulteriore tappa di un percorso di ascolto e di proposta che manterremo costantemente aperto nell’interesse generale della nostra Regione.

Le nostre preoccupazioni sono tutte confermate dall’ultimo studio presentato da Bankitalia relativamente alla condizione economica della nostra regione e che ci segnala criticità che spero sappiano leggere con la stessa attenzione tutti coloro che ricoprono oggi una funzione di governo in questa parte rilevante del Mezzogiorno.

Il PIL è il più basso d’Italia, il primo semestre del 2011 si chiude con un saldo negativo di altri 12000 posti di lavoro persi; mai si era registrato un calo netto dei depositi bancari, il che significa che si è ulteriormente compressa la capacità di risparmio delle nostre famiglie; così come il ricorso alla sospensione del mutuo contratto diventa una necessità per tanti.

Aumenta l’area della povertà e quindi diventa più prossima quella soglia della sopravvivenza e che oggi riguarda 427 mila famiglie nelle quali nessun componente lavora (il 27% del numero complessivo); e quello che è ancora più preoccupante la drastica riduzione dei consumi sull’acquisto dei generi di prima necessità, pane, pasta, frutta responsabile anche la scellerata scelta di aumentare l’iva nell’ultima manovra economica.

Si presenta così la Campania agli indicatori economici e agli studi di settore.

Ecco perché siamo dinanzi ad una fase per tanti aspetti cruciale per la vita del nostro Paese.

In discussione non è soltanto il futuro del mondo economico e produttivo, ma il sistema di coesione sociale sul quale si è retta sino ad oggi la vita di milioni di famiglie e la stessa democrazia.

Mai prima d’ora c’eravamo trovati di fronte contemporaneamente ad una doppia emergenza: da un lato una condizione di recessione economica e di crisi finanziaria di così ampia portata e dall’altro un quadro di riferimento politico e di governo così precario fino ad incidere pesantemente sulla credibilità e l’autorevolezza del sistema Italia di fronte alle democrazie europee e mondiali, e lascaindo in una condizione di pericolosa sospensione la vita stessa della nostra comunità.

Questo è forse il passaggio più delicato per il nostro Paese e soprattutto per la Campania ed il Mezzogiorno: dalla crisi può uscire un’Italia più forte, più unita, più solidale e competitiva nella sfida dei mercati internazionali sempre più dinamici; oppure il rischio è che le conseguenze di questa fase lascino indietro il Paese e la Campania, incapaci nei prossimi anni di recuperare una distanza nei confronti di altre regioni d’Europa e del mondo.

Dentro questa sfida noi pensiamo di poter svolgere un ruolo decisivo, in un quadro di iniziativa capaci di costruire una alleanza di scopo tra politica, istituzioni, forze produttive e sindacati, ciascuno per la propria quota di responsabilità, senza inutili e dannose invasioni di campo che sembrano in alcuni casi animate esclusivamente da un ossessivo e personale protagonismo.

Ce lo impone la fase e ce lo impone una certa visione della società ed una cultura politica alla quale sentiamo di appartenere.

Tutti gli indicatori economici ci segnalano una condizione di pesante crisi che ha travolto l’intero sistema industriale e manifatturiero, non risparmiando settori determinanti per l’economia regionale, dall’agricoltura, ai servizi, al commercio, all’edilizia, ai trasporti, alla chimica, al tessile, al lavoro autonomo.

Il tema per noi è che la Campania non ce la farà ad uscire da una crisi di queste dimensioni se non si afferma nel governo regionale una nuova visione d’insieme che sappia guardare alla nostra regione provando a mettere in campo politiche di sviluppo nei settori che per caratteristiche della nostra terra, per antichi insediamenti industriali, per la posizione geografica che ci pone al centro di un importante corridoio che dall’Europa arriva fino al mediterraneo, per la sua vocazione turistica, per il suo paesaggio possano rappresentare opportunità di rilancio per la nostra economia.

Noi vogliamo che chi amministra la Regione si misuri con questa ambizione e questa visione alta del governo di un territorio ricco e complesso come il nostro.

E lo vogliamo fare con lo stile che è necessario, senza sottrarci alla responsabilità del momento, che impone sempre di più la necessità di coniugare ristrettezza delle risorse e dei bilanci del sistema delle autonomie con l’efficentamento della qualità dei servizi e dell’offerta amministrativa.

Alcune cose le abbiamo dette in occasione della seduta monotematica del consiglio regionale sulla crisi.

Le ribadiamo questa mattina.

Non si può pensare che da sola una politica fatta di tagli e di riduzione della spesa a Roma ed in Campania, senza una logica di intervento e rivolta indistintamente a servizi primari, scuola, ricerca, trasporto pubblico locale, servizi alla persona, possa invertire una tendenza.

Dal governo nazionale è mancata irresponsabilmente una politica in grado di intervenire con più coraggio sulle aree di spreco, di inefficenza e di evasione, che fosse capace di  incidere sulle grandi rendite finanziarie e sui capitali, ispirata a principi di solidarietà e di equità dove chi ha di più concorre di più a sostenere le difficoltà della fase e lo fa soprattutto a favore di quelle vecchie povertà e nuove povertà che avanzano soprattutto tra le fila di una giovane generazione che rischia di pagare il prezzo più alto della crisi.

Per rimettere in moto l’economia serve orientare la spesa verso lo sviluppo, concentrare ogni sforzo perché si possa sostenere il sistema delle piccole e medie imprese, favorire la capacità di consorzi tra piccole e piccolissime realtà, ridurre i costi e i tempi di una burocrazia che oggi più che mai rischia di soffocare migliaia di piccole aziende.

Sostenere l’innovazione e la ricerca, aiutare il sistema imprenditoriale e produttivo a reggere l’onda d’urto di una competizione che ormai vive su scala mondiale, qualificare la formazione e l’aggiornamento della forza lavoro e aprire a nuove opportunità per chi è fuori dal mercato del lavoro nonostante spesso abbia titoli, merito, creatività, mi riferisco a tanti giovani talenti che si sono formati nei nostri atenei.

Per questo ci preoccupa in Campania, assistere ad un governo regionale che riproduce in sedicesima una politica di tagli orizzontali senza avere in nessuno dei segmenti della nostra economia un’idea di sistema.

Va bene insediare una cabina di regia per affrontare la crisi, ma se questo luogo diventerà un luogo che somma funzioni e soprattutto assume di sé la responsabilità di scelte coraggiose e non più rinviabili.

Credo che su questo siamo tutti d’accordo.

Non siamo appassionati né ad un’iniziativa demagogica, fatta di urla e slogan, né tantomeno ad una visione pregiudiziale nel rapporto con questa maggioranza di governo. Ma pretendiamo serietà nel confronto e nel merito e autorevolezza nelle decisioni da assumere per reggere alla portata della crisi.

Io penso che un terreno d’iniziativa giusto sia quello della condivisione, della comune responsabilità, ma poi serve che chi ha il potere di decidere decida.

C’è un doppio terreno di iniziativa: uno di natura amministrativa e politico; ed un altro più squisitamente politico e di scelte strategiche. Ne indico per entrambi alcuni:

Ci sono provvedimenti amministrativi irresponsabilmente fermi e ormai da oltre un anno e mezzo e che se immediatamente sbloccati potrebbero dare un po’ di ossigeno alle nostre imprese e mettere in circolazione un po’ di danaro.

Lì abbiamo indicati durante il dibattito consiliare ma ancora ad oggi non trovano risposta:

–          I 12 contratti di programma, nuove opportunità di lavoro e soprattutto una spinta all’innovazione e alla ricerca di tanti insediamenti industriali, penso ad centro di ricerche Elasis a pomigliano, al consorzio Caltech ad avellino, al pastificio D’Oria ad angri, all’azienda Kiton ad Arzano; contratti per i quali le aziende hanno già speso la propria quota di finanziamento e di investimento e che a maggior ragione oggi soffrono l’assenza da parte della regione della sottoscrizione dei contratti e quindi l’erogazione delle risorse promesse;

–          Una parola definitiva su i due accordi di programma tra l’area ex Montefibre e quella in terra di lavoro nell’area ex 3M dove ad esempio la Novamont in assenza di tempi e risposte certe da parte dell’amministrazione regionale ha giustamente confermato il suo investimento ma trasferito a Porto Torres le attività che avrebbero dato al casertano nuove occasioni di lavoro;

–          la sottoscrizione con i comuni al di sopra dei 50.000 abitanti del Più Europa per  dare il via a interventi importanti di riqualificazione territoriale, sul terreno urbanistico, dei servizi, della mobilità, che significa migliorare la qualità della vita in tante grandi aree urbane e rendere più attrattivo il territorio per chi intende investire con iniziative imprenditoriali penso soprattutto a quel tessuto di piccole e medie imprese, dal commercio, all’artigianato, ai servizi.

–          Far partire subito, visti i risultati positivi registrati, una nuova finestra per il credito di imposta per le imprese e avviare immediatamente il bando per il credito di imposta finalizzato all’occupazione per il quale è pronto ormai da febbraio 2010 il relativo disciplinare;

–          Trovare d’intesa con il MEF gli accorgimenti finanziari necessari per liberare le risorse bloccate in cassa e dare quindi seguito a migliaia di pagamenti di crediti nei confronti di tantissime aziende campane che sono ormai al collasso;

–          Un confronto urgente in consiglio regionale, per una verifica puntuale sullo stato reale dell’utilizzo delle risorse UE. La preoccupazione è che il Presidente Caldoro sia giustamente impegnato ad evitare, anche e soprattutto per i ritardi accumulati in questo anno e mezzo di governo, il disimpegno di risorse fondamentali per la Campania, ma è altrettanto vero che il risultato altro non sarà che iniziative di natura contabile e finanziaria per spostare al 2012 la verifica dei tetti di spesa, senza che ancora per quest’anno e per almeno la metà del prossimo parta alcun cantiere, nessuna infrastruttura o grande opera per la nostra regione, a discapito in particolare dell’edilizia penso ad esempio alla realizzazione della tangenziale delle aree interne piuttosto che il completamento del sistema metropolitano regionale.

–          Una certezza sul trasferimento dei fondi FAS già abbondantemente saccheggiati nel corso di questi ultimi due anni a danno della Campania e del Mezzogiorno. E anche qui una precisazione. Noi pensiamo che quei fondi siano da destinare agli investimenti e allo sviluppo non certo alla spesa corrente, sarebbe davvero, qualora il Presidente Caldoro confermasse questo orientamento, una scelta miope priva di sguardo verso il futuro.

C’è poi tutta una politica che attiene alle scelte strategiche che la Regione dovrebbe mettere in campo, che hanno bisogno di una visione di insieme, della capacità di interpretare la fase e di una classe dirigente che ha capacità e cultura di governo e che non si limita a gestire l’esistente sperando che il tempo da solo possa migliorare le cose.

Se è vero che alla Regione non compete una politica industriale che è materia del governo nazionale è altrettanto vero che alla Regione spetta la definizione di politiche di contesto che dentro un quadro nazionale possono aiutare il sistema produttivo ed economico della nostra comunità.

E’ qui siamo lontani anni luce da ciò che servirebbe ora e subito.

La cancellazione di fatto di qualsiasi sostegno al Trasporto Pubblico Locale, è non solo una scelta devastante sul piano del diritto alla mobilità per i nostri cittadini. Ma l’affermarsi di un modello di Paese e di tempi delle città preoccupante. E’ un modello di tempi di vita e di organizzazione delle nostre città dove le luci si spengono prima, dove il ricorso all’auto quando si può, contribuirà ad impattare e pesantemente sul paesaggio, sull’ambiente, sulla qualità dell’aria, e città dove ci si muove di meno sono soprattutto dalle nostre parti, città più insicure. Un dato tutto in controtendenza rispetto al resto d’Europa dove il TPL è lavoro, è modernità, è innovazione, è progresso, è civiltà di una nazione.

Così come è assurdo non avere ancora un Piano energetico ambientale e regionale. C’è uno spazio di iniziativa imprenditoriale sul terreno delle fonti energetiche rinnovabili e alternative, che certo va disciplinato perché possa contemplare tutela del paesaggio e bisogno di sviluppo, ma c’è la filiera della cosiddetta green economy ancora tutta da conoscere. Addirittura ci sono campi finora inesplorati come la geotermia che grazie alla conformazione morfologica della nostra regione può rappresentare una nuova fonte di investimento e che ha una resa in termini di energia prodotta superiore a quella proveniente dall’eolico o dal fotovoltaico, oltreché meno impattante per l’ambiente date le caratteristiche degli impianti.

E’ evidente a tutti che non ci sarà ripresa in campania se non si lavorerà per allargare la base produttiva ed industriale innanzitutto.

E non c’è possibilità di immaginare, ancora nel terzo millennio, uno sviluppo senza l’intervento pubblico sul terreno delle politiche e delle risorse da mettere in campo.

Nel frattempo per alcune vertenze industriali che hanno una conclusione positiva o che lasciano intravedere un percorso possibile, ce ne sono tante altre ancora aperte e che riguardano grandi insediamenti fatti di altrettante eccellenze e soprattutto che coinvolgono il destino di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie.

In queste ore abbiamo espresso il nostro apprezzamento per la conclusione della trattativa che riguarda gli stabilimenti Alenia in Campania. Apprezzamento, perché nella condizione data, la responsabilità che le organizzazioni sindacali hanno assunto nel confronto con l’azienda è stata quella di difendere un patrimonio di storia industriale in grado di ricoprire ancora un protagonismo su i mercati nazionali e internazionali e di mettere in sicurezza i propri lavoratori con un occhio attento alle possibilità di nuovi investimenti in ricerca ed innovazione e quindi a nuove opportunità di lavoro.

Ora toccherà vigilare perché quel piano si realizzi nei tempi concordati e soprattutto sul terreno delle nuove produzioni accanto all’M125 in partnership con i russi si lavori per la realizzazione del nuovo ATR 100.

Stesso discorso vale per la FIAT di Pomigliano. Pur nelle diversità delle opinioni era largamente condivisa tra di noi la necessità dell’accordo per realizzare la nuova PANDA. Ma adesso nessun posto di lavoro va perso nel passaggio dalla vecchia azienda alla newco.

Anche perché da questo passaggio e dall’effettiva messa a regime della nuova produzione dipende il destino di 5000 lavoratori diretti e di un sistema di aziende dell’indotto della parte relativa ai motori e della gomma plastica particolarmente presenti nel napoletano e nel salernitano.

Discorso diverso quello che riguarda Fincantieri. La firma del protocollo d’intesa è un passo importante ma non ancora decisivo per il futuro del cantiere di Castellammare e dell’intera area industriale Torrese-Stabiese. Non solo perché dovra’ seguire la firma dell’accordo di programma nel prossimo anno, dove dovranno essere definiti nello specifico investimenti e risorse per l’ammodernamento dello scalo, primo fra tutti quelle relative alla realizzazione dell’unica ed indispensabile infrastruttura e cioè il bacino di costruzione, in grado di rendere competitivo il cantiere con i Paesi asiatici e della sponda sud del mediterraneo.

Ma grande attenzione bisognerà prestare affinchè non ci siano iniziative volte ad indebolire la vocazione industriale del sito per lasciare progressivamente il passo ad altre iniziative orientate a svuotare la quantità e la qualità delle produzioni fino a compromettere la vita stesa del cantiere ed aprire il fronte ad iniziative speculative di altra natura che pure rimangono nello sfondo di questa grande vertenza.

Ma restano aperti grandi punti di criticità: Firema, Ansaldo, Ixfin, Irisbus, FMA di Pratola Serra, tutta la partita del trasporto via mare.

Tra di loro la storia passata e recente di queste aziende è chiaramente diversa.

Una parte di queste aziende subisce di riflesso un duro colpo per i tagli al sistema del trasporto pubblico locale.

E accanto a queste difficoltà a volte si accompagnano logiche davvero padronali che sembrano più figlie di altri tempi e di altri rapporti tra lavoratori, aziende e sindacati, è il caso della IRISBUS di Grottaminarda.

Da un lato Fiat decide di rinunciare in Italia alla realizzazione di veicoli destinati al trasporto pubblico e dall’altro lo fa esercitando un ricatto pesante sulla pelle dei lavoratori e decidendo di avviare le procedure per gli ammortizzatori sociali sono a valle della sottoscrizione della cessazione delle attività della fabbrica da parte delle rappresentanze sindacali. E solo così la stessa FIAT ha deciso di non dare seguito a pesanti sanzioni disciplinari verso 9 lavoratori dell’azienda.

E nel frattempo la vita di quell’insediamento industriale unico grande polmone di attività per quella parte di irpinia è legato alla trattativa in corso con il gruppo cinese DFM.

Tutt’altra storia quella di FIREMA dove una gestione sbagliata rischia di pregiudicare un’esperienza ed una storia che vanta ancora un portafoglio di attività di grande qualità e di investimenti importanti per il futuro stesso dell’azienda.

Noi non pensiamo che una Regione possa sostituirsi allo Stato e all’impresa nella produzione delle auto motive, ma sicuramente la Regione può assumere iniziative di governo in grado di sostenere la capacità di innovazione degli impianti di produzione, migliorare la rete dei servizi e delle infrastrutture a servizio e a supporto di queste attività, promuovere le sue eccellenze sui mercati nazionali ed internazionali, tessere alleanze politiche ed economiche.

Rendere evidente a chi vuole investire in Campania che qui c’è un’amministrazione attenta.

Ma su questo siamo ancora lontani da un’idea di governo efficiente, che invece insegue di volta in volta le emergenze che si determinano.

E poi c’è ancora tutto un tema nel tempo annunciato ma mai affrontato nel merito.

E’ la questione relativa al riordino del sistema delle società partecipate dalla regione.

Anche qui è evidente e non ho difficoltà a riconoscerlo, che il sistema costruito negli anni precedenti rischia di non reggere alla criticità del momento se non mettiamo in campo scelte nette che tutelando l’insieme delle lavoratrici e dei lavoratori impegnati, ponendo il tema di un nuovo modello di governance in grado di assegnare a ciascuna di queste strutture una nuova mission industriale.

Si tratta di ripensare ad un modello organizzativo che impegni queste società che intervengono su segmenti strategici della Regione, penso a tutto il tema dell’antincendio boschivo, alle bonifiche, alla tutela del paesaggio, agli strumenti di programmazione e sostegno alle attività imprenditoriali, alla internazionalizzazione delle nostre produzioni, ai fondi di garanzia per le piccole e medie imprese.

Nel primo caso penso a SMA, Astir, ARPAC Multiservizi, Jacorossi.

Tutta questa materia presuppone una visione strategica, procedure amministrative certe, una condivisione ampia tra le forze politiche e le organizzazioni sindacali e soprattutto velocità dei tempi di decisione e di azione.

Non è più tollerabile una politica di annunci sulla pelle di migliaia di lavoratori e famiglie, che non hanno altra possibilità di futuro se non quella di investire nei settori di lavoro nei quali hanno maturato competenze e professionalità, oggi indispensabili alla Regione e che nel frattempo vivono in una condizione di sospensione del giudizio e soprattutto del loro stipendio.

In questo quadro generale è da considerare la proposta di legge di costituzione dell’Agenzia unica di sviluppo regionale che da lunedì prossimo riprenderà il suo iter in terza commissione con il coinvolgimento e l’ascolto delle parti sociali.

Con quel testo non solo proviamo a mettere in rete ed in sicurezza competenze che sono maturate nel corso degli anni dentro Tess, Isve, Cithef, Digit-Campania, Invitalia, ma soprattutto proviamo a definire uno strumento più utile a chi vuole investire in Campania, un interlocutore unico per le imprese, capace di accompagnare investimenti, di accelerare procedure amministrative, di intercettare nuovi investitori.

Pensiamo che questo sia il momento più opportuno per evitare sovrapposizioni di funzioni, strutture che interevengono su stesse attività, che rischiano di produrre diseconomie, di risultare insufficienti nonostante dentro di sé abbiano competenze e professionalità.

E accanto a questo c’è un altro grande tema che riguarda i lavoratori impegnati soprattutto nelle aree interne della regione nelle comunità montane per i quali abbiamo da tempo presentato una proposta di legge che risponde alla necessità e ai bisogni proponendo una politica della montagna in Campania.

Un ultimo passaggio consentitemi di dedicarlo a chi oggi rischia di pagare un prezzo altissimo per via della crisi.

E’ quella giovane generazione di cui è ricca la Campania.

La Regione più giovane d’Europa per dato anagrafico, ricca di talenti, di merito ma alla quale rischiamo di non lasciare altra alternativa che abbandonare questa terra ed il nostro Paese alla ricerca oltre i confini nazionali di opportunità di vita e di futuro.

Io penso che la politica tutta, l’insieme delle organizzazioni sindacali, le istituzioni abbiano un dovere ed una responsabilità enormi per il presente e soprattutto per il futuro.

Ogni atto deve orientarsi a tutelare ciò che oggi è gia dentro il circuito delle opportunità di lavoro, ma non possiamo rinunciare a immaginare provvedimenti e soluzioni che in qualche modo spalmano le difficoltà della crisi in modo più omogeneo, anziché scaricare sulla parte più giovane oltreché più formata, qualificata, dinamica le contraddizioni di un’economia, di un sistema finanziario che oggi è esploso in tutta la sua drammaticità ma di cui certamente non hanno responsabilità e colpe i figli di oggi di generazioni più anziane.

L’idea di una patrimoniale regionale per destinare risorse ai giovani, alla ricerca, alla formazione di qualità, al merito, all’accesso alla prima occupazione potrebbe essere una battaglia politica di tutti, perché tutti sono chiamati a non chiudere gli occhi, a volgere lo sguardo altrove mentre nel silenzio si consuma quotidianamente la più grande migrazione degli ultimi decenni di giovani competenze che non trovano soluzioni ai loro bisogni e ancora peggio non trovano una politica in grado di saper ascoltare ed interpretare con scelte impegnative il desiderio di futuro che anima le loro preoccupazioni.

Questa sì, sarebbe davvero la sconfitta più grande della politica e dentro quella sconfitta la principale forza di opposizione in questo Paese non potrebbe dirsi priva di responsabilità.

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