Porto di Napoli, il commissariamento non nasconda responsabilità della politica

È dal primo momento che abbiamo richiamato l’attenzione del Governo e delle Istituzioni locali e nazionali sulla necessità di definire una governance autorevole e competente per il Porto di Napoli, ma il tema del commissariamento, che ha sicuramente inciso sull’attuale disastro, ha forse distolto l’attenzione dalle responsabilità, soprattutto politiche, di chi doveva agire per tempo per salvare il principale polmone dell’economia della Campania.

Sul Porto di Napoli continuano a pesare come un macigno i ritardi e le inerzie degli anni precedenti, che hanno bloccato la realizzazione delle opere previste e necessarie per rendere competitivo lo scalo partenopeo e ne hanno segnato la progressiva perdita di competitività. Bisogna attuare un’operazione di verità su tutti i nodi che ancora bloccano il rilancio dello scalo partenopeo, sulle procedure in ritardo, su tentativi di far partire le gare senza garanzia delle opportune coperture finanziarie, sui conflitti che sottendono alla realizzazione del waterfront, sulle questioni spinose come concessioni e riscossione dei canoni di impresa.

Il fallimento del Grande Progetto, in particolare, è imputabile in via esclusiva alla Regione Campania e all’allora Presidente Caldoro, che lo ha gestito in maniera sconsiderata, muovendosi in ritardo sin dal principio e partendo già con il piede sbagliato: inserito nel Por 2007/2013, è stato in realtà presentato alla Commissione Europea nel 2011, bocciato nel 2012 e poi rimodulato a dicembre 2013. Impossibile pensare dunque di completarlo nei tempi previsti da Bruxelles, nonostante i pomposi annunci e la consolidata prassi dello scarico di responsabilità. Per questo, è necessaria una rapida inversione di tendenza da parte del nuovo Governo regionale, che ponga finalmente il Porto di Napoli al centro dell’agenda politica, superando interessi di parte e favorendo competenze riconosciute, capaci di disegnare un futuro per lo scalo.

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