Sulla cessione di AnsaldoBreda a Hitachi

La cessione da parte di Finmeccanica di Ansaldo Breda e Ansaldo STS al colosso giapponese Hitachi impegna in più di una riflessione la politica locale e nazionale. Il tema di fondo non è solo la prioritaria e imprescindibile salvaguardia dei lavoratori (tra l’altro, di età media molto giovane) e delle tante competenze, ma la scelta di rinunciare alla presenza pubblica in uno dei comparti di maggiore eccellenza nel panorama industriale nazionale e regionale, in controtendenza con quanto avviene in Paesi come Francia e Germania.

Il contesto attuale è più complicato perché resta ancora fumoso il piano industriale di Finmeccanica sul terreno degli investimenti e dunque sulle sue ricadute in Campania, nella regione dopo la Lombardia con il maggior numero di siti e di addetti del Gruppo. D’altronde, rileggendo le decisioni di Finmeccanica in questi ultimi cinque anni, in Campania si sommano scelte che progressivamente hanno portato ad un indebolimento della presenza industriale e degli investimenti in termini di ricerca, innovazione, presenza di direzioni strategiche e centri decisionali. Cos’altro sono la chiusura dello stabilimento Alenia di Casoria, la perdita della sede legale verso Venegono e poi Roma, il ridimensionamento della progettazione di Pomigliano, la delocalizzazione nei fatti del “Finance”, la mancata assegnazione di direzioni strategiche nella riorganizzazione di Selex per i siti di Giugliano e Fusaro e la probabile cessione dello stabilimento di Capodichino ad Atitech?

Si dirà: ma tutto questo ha comunque garantito i livelli occupazionali. Vero, ma il prezzo che rischiamo di pagare, in un tempo neanche troppo lungo, può rivelarsi pesante per il Paese, di sicuro per il Sud e in particolare la Campania, dove aerospazio e ferroviario restano gli ultimi due distretti industriali di eccellenza.

Ecco, questa è un’occasione in cui la politica e le istituzioni possono giocare un protagonismo e riaffermare il senso di una funzione utile, se hanno capacità di assumere un ruolo, avere una visione, produrre un’iniziativa in grado di rimettere al centro il destino della Campania. Non servono generici giudizi, dove la responsabilità è sempre da ricercare oltre i confini della propria competenza politica, soprattutto se alle dichiarazioni non seguono fatti concreti.

Quanto accaduto in questi ultimi anni è stato possibile anche perché a Roma la voce di Napoli e della Campania è arrivata divisa e flebile. Nella storia di Finmeccanica, per la natura stessa del Gruppo, le scelte sono sempre state condizionate da posizionamenti della politica. E forse è proprio quest’ultima a essere mancata dal Sud nelle sedi e nei momenti opportuni, mentre il sindacato, pur nella differenza di valutazioni, è intervenuto con iniziative e mobilitazioni.

Oggi, in questo delicato passaggio, dobbiamo recuperare un ritardo. Di strategie industriali non abbiamo mai discusso in Consiglio regionale: potrebbe essere l’occasione per una seduta straordinaria del parlamentino campano aperto alle organizzazioni sindacali, con l’obiettivo di definire una posizione unitaria che impegni Finmeccanica e il Governo nazionale alle responsabilità verso la Campania e il Sud.

Ne va dell’autorevolezza delle istituzioni e soprattutto di quell’apparato industriale, parte fondamentale dell’economia regionale.

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